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Eolo
stelle lontane
QUALI STRATEGIE 5
L'INTERVENTO DI SILVIA COLLE DELL'E.R.T. FRIULI VENEZIA GIULIA.


ECCO ORA IL PARTICOLARE SGUARDO  DI SILVIA COLLE DEL TEATROSCUOLA/ ENTE REGIONALE TEATRALE DEL FRIULI VENEZIA GIULIA


Mozart in the jungle. Riflessioni e pensieri per dopo.
L’emergenza ha portato in casa mia una piccola rivoluzione. Dopo anni di accanito NO all’abbonamento ai servizi delle TV a pagamento, mio marito ha ceduto, preoccupato dell’avermi accanto 24 ore su 24 senza potermi silenziare almeno per un po’.
Pancia mia, fatti capanna! Sto recuperando anni di immaginari, storie, montaggi, colonne sonore, volti e voci. Lo ammetto, il cinema e la TV, anagraficamente, stanno a me come il tablet sta ai miei figli.
Fra le tante, sono incappata piacevolmente nella serie Mozart in the jungle tratta dall’omonimo libro di memorie dell’oboista Blair Tindall (più precisamente il titolo è “Mozart in the jungle: sex, drugs and classical music”).
In questo periodo bulimico di riflessioni, letture, conversazioni, scambi di pensiero che mi sono necessari per continuare ad immaginare e progettare il lavoro del teatroescuola dell’Ente Regionale Teatrale del Friuli Venezia Giulia, Mozart in the Jungle continua a punzecchiarmi con la sua ironica, feroce e lucida rappresentazione del “prima”. C’è tutto: il problema del ricambio generazionale degli artisti; la crisi artistica; la crisi economica determinata dalla mancanza di fondi e dalla difficoltà di attirare sponsor e sostenitori privati; la tirannia del mercato produttivo che obbliga le istituzioni artistiche alle regole e ai tempi di consumo; la perdita del proprio pubblico di riferimento e le difficoltà di attrarne dell’altro; la competizione ma anche la necessità di contaminazione fra i diversi media e forme d’arte; il rispetto del repertorio classico ma anche la necessità di abbandonarlo; i problemi sindacali, la tutela e il riconoscimento dei lavoratori dello spettacolo; la tensione fra organizzatori/programmatori che necessitano di “lavorare per cassa” e le necessità della ricerca e delle avanguardie artistiche che devono “lavorare per capitale”; l’inadeguatezza e decadenza degli spazi teatrali e nel contempo la necessità di uscire dai teatri e cercare altri spazi performativi; la difficoltà di realizzare progetti per un’educazione dell’infanzia; il ruolo sociale delle istituzioni artistiche nella mancanza di politiche culturali e sociali…
Veramente, c’è tutto. Bisogna forse essere del mestiere per vedere tutto, ma c’è, e anche di più.
Nella terza serie, i protagonisti si trovano a Venezia, e tutto questo sottotesto professionale, a me così chiaro, si arricchisce di ulteriori punzecchiamenti. L’Italia è rappresentata come un luogo di straordinario e incomparabile patrimonio e gli italiani, pur attraverso lo stereotipo – c’è molto della macchietta nell’interpretazione affidata a Cristian De Sica e a Monica Bellucci – come un popolo geniale e vitale ma incapace di prendersi cura della bellezza che lo circonda. Abbiamo pane ma non denti.
La serie è stata cancellata dopo la 4° stagione e lascia il suo protagonista, il geniale maestro Rodrigo De Souza, seduto su una panchina al parco, senza più un lavoro, con la reputazione professionale fortemente ammaccata, senza ragazza, incerto sulla sua relazione con la musica a domandarsi: e adesso? Che fare?
Ecco, che fare?
Nel nostro “prima” a cui alcuni chiedono di tornare velocemente, se non immediatamente, non avevamo risolto in Italia – esattamente come gli sceneggiatori di Mozart in the jungle – molte questioni critiche e strutturali del mondo dello spettacolo dal vivo ed artistico in generale. Tutte le istanze – dal riconoscimento di un settore produttivo multiforme e complesso, diversamente partecipato di funzioni pubbliche e private, alla necessità di determinare e condividere nei territori strategie, politiche sociali e culturali non fondate sul patrimonio o sui soggetti ma sulle persone e i progetti, passando per la necessità di rinnovare ed alimentare la relazione artistica ed educativa non con il Pubblico ma con “i pubblici”, di proteggere il processo creativo dalle logiche dell’economie di consumo culturale e così via … – venivano a riva ogni tanto, come plastica nel mare. Si rotolavano un po’ sulla banchina, e se andava bene, alcune, a caso, venivano raccolte in progetti di “riciclo” e “recupero”, ovviamente creativo. Le più però tornavano a sporcare il mare fino alla prossima marea o affondate definitivamente.

Così il coronavirus, ci ha trovati. In balia delle onde. E ci ha fatto uscire tutti – e di corsa - fuori dal mare.
Adesso dopo esserci asciugati, ciascuno per quello che è, piccolo ossicino di pollo o chiatta petrolifera, deve rientrare in acqua. Sperabilmente non come rifiuto, ma come nuovo progetto di navigazione.
E allora, meglio pensarla grande! Io non penso ad una riforma. Penso più a una rifondazione che alla sua base abbia questo pensiero: la cultura non è un bene, né un’attività, è un bisogno.
Un bisogno che incarna un diritto delle persone, anche bambine. Un diritto che necessita di azioni e risorse per essere garantito. Un diritto positivo.
Si tratta di assumere su di sé, singoli operatori e istituzioni, questa responsabilità di agire per rimuovere gli ostacoli al reale esercizio da parte dei bambini e dei ragazzi alla cultura che anche “prima” non erano stati rimossi. E diciamolo, “prima” stavamo perdendo la partita. Adesso, dopo un bel po’ di panchina, forse qualcuna la vinciamo.

Teatroescuola sta facendo ipotesi e immaginando “cose”. Partendo dal rapporto con la Scuola.
Non è sufficiente - né auspicabile - prevedere “semplicemente” il recupero e la ripresa delle attività non realizzate nell’anno scolastico 20/21 anche opportunamente rimodulata. È necessario impegnarsi insieme - Amministrazioni, Circuito e Scuola - per la progettazione di modalità nuove per l’educazione artistica dei bambini e dei ragazzi. Modalità che potranno essere veramente nuove solo se ragionate non come alternativa temporanea a “cose” insostituibili, ma se discenderanno dal rinnovo di un patto con la Scuola e con le Comunità centrato sulle relazioni sociali, educative ed affettive che l’arte contribuisce a formare, alimentare, approfondire. L’obiettivo dovrebbe essere la realizzazione del Teatro come parte costitutiva delle comunità. Anche e soprattutto per i bambini.
Se ci concentriamo sulle relazioni, qualunque media e linguaggio può essere utile per attrezzare la creatività e può essere indagato. Non in alternanza, ma in una rete di reciprocità, cooperazione, proporzionalità, convergenza.
Nel dibattito on-line sì, on-line no, pensiamo che le tecnologie non cancellano la relazione artistica - come non cancellano il lavoro - ma la trasformano. Una trasformazione che non è spontanea ma va pensata e guidata. Partendo soprattutto dalle competenze degli adulti, di coloro che si trovano a dover cambiare il proprio linguaggio, a venire a patti con le proprie certezze comunicative. I bambini e i ragazzi si stanno formando, non devono trasformarsi. Vanno avanti. Gli insegnanti - e gli adulti in generale -invece si trovano a dover riprendere la propria formazione se vogliono accogliere, in maniera giusta e coerente al proprio progetto, le tecnologie delle quali si servono. Adesso non si può svicolare. Dai che forse riempiamo di sostanza reagente la scuola 2.0!
La formazione degli insegnanti, artistica e tecnica, è ancor più determinante in questo contesto nuovo perché la funzione di intermediazione che svolgono frapponendosi fra bambini e artisti, nella virtualità della relazione on-line è l’unica cosa reale, materica, affettiva a cui ci si può davvero agganciare.
I bambini e i ragazzi, hanno una relazione con i propri insegnanti e con i propri compagni; una relazione più o meno antica, ma nata nella fisicità delle classi e dei giardini. È questo che permette agli insegnanti di rendere “umana” la propria lezione al videoterminale. Sono un’umanità conosciuta. L’operatore esterno non avrà la stessa efficacia, perché estraneo. Avrà dunque bisogno di un alleato dentro le mura che condivida il suo progetto e porti l’arte ai bambini con strumenti più affilati della colla vinilica.

Teatroescuola sta cercando di elaborare insieme a tutti gli artisti che convergeranno, un progetto per potenziare la cosiddetta “didattica a distanza” in materia di linguaggi del teatro, della danza e della musica attraverso strumenti, seminari e incontri rivolti agli insegnanti (formazione on-line); l’obiettivo primario è migliorare con i linguaggi artistici la relazione fra docente e alunni e la relazione del gruppo classe anche nella modalità della didattica a distanza. Il teatro è un potente alleato per tenere viva e vegeta l’umanità della classe, fatta di corpo, respiro, spazio, contatto.
Grazie a questa formazione/condivisione di filosofie ed estetiche, le proposte di approfondimento del contesto relazionale, emozionale, creativo che faremo per i bambini si inseriranno in un contesto pronto per dare i migliori frutti, o almeno i frutti che vorremmo raccogliere.
E vorremmo tenere conto anche del potenziale coinvolgimento delle famiglie; l’esperienza della didattica a distanza infatti può arricchire il contesto familiare di nuove relazioni e dinamiche educative favorendo la partecipazione di tutti i suoi componenti. A casa, i bambini, non sono soli, e possono essere il detonatore di reazioni a catena straordinarie.

Ma come ci insegna da sempre Marco Geronimi Stoll, ad un massimo tecnologico, per equilibrare il passo, deve corrispondere un minimo tecnologico altrettanto forte.
La relazione “in presenza” fra bambini ed artisti deve essere il più possibile pensata, cercata, realizzata, garantita. Ciò a cui pensiamo sono proposte di teatro, musica e danza che inseriscano il distanziamento sociale - un fattore strutturale del nuovo “campo di gioco” anche artistico e creativo – nella progettazione come modalità e peculiarità e non solo come vincolo o impedimento da arginare e superare con un adattamento. Pensiamo ad una progettualità calibrata nella dimensione della micro-collettività e nella formula della personalizzazione di gruppo, realizzata in una pluralità di luoghi e spazi.
Questa azione verso le scuole sarà parte di un’azione territoriale più ampia, condivisa con le Amministrazioni comunali, con l’obiettivo di attivare concretamente la relazione Scuola/Famiglia/Territorio e ricostruire un nuovo tempo e spazio collettivo per il Teatro di cui i bambini siano i principali agenti e protagonisti.
Credo che gli ossicini di pollo, che fuor di metafora spesso sono proprio coloro che si occupano di infanzia e di educazione, possano insegnare davvero a nuotare alle chiatte!
Perché da molto tempo, hanno fatto dell’ascolto, un progetto.
Per lavorare con i bambini e i ragazzi l’ascolto dello spazio, del tempo, delle relazioni, delle comunità affinché il teatro, la danza e la musica possano accadere è imprescindibile per lavorare con i bambini e ragazzi. Le forme, le estetiche, le filosofie del migliore Teatro Ragazzi (e più in generale della migliore arte rivolta all’infanzia) dialogano e si plasmano costantemente nelle comunità e nei luoghi in cui agiscono.
Enea Gallio, un fantastico e promettente trombonista di 18 anni, dopo aver suonato in uno dei concerti programmati dal teatroescuola a cura di Andrea Apostoli sintetizza molto genuinamente questo aspetto del lavorare con e per i bambini: “prima di questi concerti non mi era mai capitato di esibirmi davanti ad un pubblico così giovane. È stata un’esperienza del tutto nuova. Innanzitutto la costante paura di sbagliare e il timore di non trasmettere abbastanza erano improvvisamente scomparsi e finalmente riuscivo ad avere il pieno controllo di me stesso e dello spazio intorno a me. Riuscivo a comunicare con gli altri musicisti in modo più chiaro e diretto e man mano che il concerto proseguiva, il rapporto fra noi si rafforzava. I bambini erano disposti attorno a noi rompendo la barriera che divide di solito ascoltatori ed esecutori. Questa vicinanza pone chi suona sullo stesso piano di chi ascolta e la musica diventa tanto tua quanto sua. (…) Durante i concerti ho notato che i bambini smettevano di mostrare interesse non tanto perché non gli piacesse quello che stavano vedendo e ascoltando, ma perché sentivano che a volte la nostra attenzione e la nostra sicurezza sul palco venivano a mancare e questo si rifletteva su di loro. Ho imparato che è importante mantenere una narrazione musicale, espressiva, corporea che sia continua, o si rischia di interrompere la relazione con chi ci sta ascoltando, che siano adulti o bambini.”

La liturgia teatrale, proprio perché nasce da un bisogno umano, si è sempre trasformata nel tempo e nello spazio, trovando nuovi tempi e nuovi spazi dove avvenire, superando le onde gravitazionali, la peste, il vaiolo, le crociate. E anche il coronavirus.
Proviamo ad andare avanti, piuttosto che dondolare fra un prima e un dopo. Tanto nessuno si ricorda mai come si risolve la questione della barca, la capra, il cavolo e il lupo.

SILVIA COLLE TEATROSCUOLA/ ENTE REGIONALE TEATRALE DEL FRIULI VENEZIA GIULIA





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